Borse, la sfida delle Ipo: gli Usa bruciano l’Europa – Costi e regole nel mirino

Nei primi nove mesi dello scorso anno, in piena pandemia, le aziende americane sono riuscite a raccogliere sul mercato 208 miliardi di dollari tramite aumenti di capitale e altri 101 miliardi con le Ipo. Nei 27 Paesi che fanno
parte della Ue la raccolta si è fermata a 65 miliardi di dollari con le offerte secondarie e a 8,7 miliardi con le offerte primarie (minimo del decennio). Già prima del Covid, nel 2018, la capitalizzazione dei mercati azionari europei era pari al 55% del Pil, dimensioni analoghe a quelle del 2010, mentre nel frattempo il peso dei mercati Usa è salito dal 100% al 150% del prodotto interno lordo. Nello stesso periodo in Europa i listini si sono accorciati del 9%, col numero delle società quotate calato da 5575 a 5090, dato che i delisting hanno superato le Ipo in tutti gli anni, con
l’eccezione del 2011. E questo a fronte di un incremento del Pil che nei 27 Paesi dell’Unione, dal 2010 al 2018, è comunque stato del 23%. Negli Usa, nonostante la concorrenza del private equity si sia fatta sentire, il listino ha continuato ad allungarsi: il numero delle società quotate è aumentato del 5% passando da 4170 a 4397, a fronte di
una crescita del 32% del Gdp . E ancora, il totale dei capitali raccolti tra offerte primarie e secondarie nell’Europa dei 27 si è più che dimezzato dal 2015 al 2019, mentre è aumentato del 20% negli Usa. Insomma, c’è un problema di rappresentatività e un problema di accesso al mercato di capitali, tanto più grave in tempi di crisi. In generale, osserva un recente rapporto di EuropeanIssuers (le associazioni europee delle società quotate) dal quale sono tratti i dati di cui sopra, le quotate europee sono più grandi e consolidate di quelle di altre aree, evidenziando la difficoltà delle piazze continentali ad attrarre società ancora in fase di crescita. Una spiegazione sono i costi. Le spese di quotazione, dirette e indirette, assorbono tra il 5% e il 15% del controvalore dell’offerta e anche di più quando le dimensioni societarie sono ridotte. Il rapporto di EuropeanIssuers segnala per esempio che i costi dello sbarco sull’Aim Italia (mercato per le piccole e piccolissime imprese) nel 2019 è arrivato in media al 18%. Connessa è la questione dell’onerosità della regolamentazione che in termini relativi pesa di più sulle realtà di minori dimensioni. E il rischio, sottolineano le associazioni delle società quotate, è che tra i regolatori avanzi la tentazione di
aumentarne il carico, quando invece il momento suggerirebbe di rinviare a tempi migliori ulteriori interventi. Tant’è che Londra sta approfittando della Brexit per smantellare l’impianto regolamentare comunitario e rilanciare il proprio mercato, che pure ha sofferto negli ultimi tempi. E in Italia? Secondo il comitato degli operatori e degli investitori – un comitato di stakeholder istituito dalla Consob per mantenere aperto un dialogo col mercato – occorre cogliere l’occasione dell’integrazione con Euronext per «rilanciare il mercato dei capitali domestico». In un documento appena pubblicato il comitato sollecita «interventi strutturali», considerato che lo scorso anno le emissioni di capitale azionario in Italia sono state pari appena al 15% di quelle realizzate in Uk, meno di un terzo di
quelle realizzate in Germania, la metà rispetto a Francia e Svizzera. Secondo un recente studio di Afme, l’associazione dei mercati finanziari continentali, per uscire dalla crisi le imprese europee avranno bisogno di mille miliardi di capitale, di cui 175 miliardi solo le italiane. Considerate le risorse messe in campo dalla Ue ,saranno da reperire altri 450-600 miliardi nel giro di un biennio, ma lo scorso anno le emissioni azionarie nel Vecchio Continente hanno coperto meno dell’8% del fabbisogno. Oltre alla richiesta di intervenire su alcuni processi regolamentari particolarmente onerosi, il comitato avanza in particolare due proposte che potrebbero trovare rapida attuazione. Da una parte chiede che, in seno alla Borsa, venga istituito un advisory board attivo e propositivo da consultare ogniqualvolta siano da prendere decisioni che impattano sul mercato. Dall’altra sollecita l’allineamento alla prassi del circuito Euronext che permette di accorciare tempi e procedure di quotazione e emissioni di titoli. Lo scorso anno, secondo dati elaborati da Assonime (l’associazione italiana delle società quotate), sui mercati di Euronext (Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona, Dublino e Oslo) ci sono state 77 Ipo, di cui 19 sui mercati regolamentati e 71 sugli Mtf, per un controvalore di 6,68 miliardi, più dei 5,1 miliardi del 2019 e dei 3,6 miliardi del 2018. Milano si è fermata a 707 milioni, meno di un terzo rispetto al 2019 (Ipo per 2,5 miliardi) e meno della metà rispetto al 2018 (1,8 miliardi): solo una nuova quotazione in Piazza Affari nel 2020, 21 sull’Aim. ©
(Su Ilsole24ore, Finanza e mercati, 16/01/2021)

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